LA FAMIGLIA NEL BOSCO - LA GIUSTIZIA E' SEMPRE GIUSTA PER TUTTI?
- Massimo Catalucci

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Riflessioni sul metro di misura di giudizio delle istituzioni preposte ai servizi sociali riguardo la gestione del nucleo familiare Birmingham-Trevallion

articolo di Massimo Catalucci
PALMOLI (CH) - Giovedì, 27 novembre 2025 - (NEWS & COMMUNITY - Look at the World - www.massimocatalucci.it) - La storia della famiglia Birmingham-Trevallion, che ha scelto di vivere lontano dalla società moderna, nel cuore di un bosco, è diventata un simbolo di quanto possa essere complesso, controverso e a volte doloroso il giudizio delle istituzioni preposte alla protezione dei minori. La vicenda che ha coinvolto questa famiglia, l'allontanamento dei figli dai genitori e l’affidamento a strutture protette, sta suscitando innumerevoli riflessioni e interrogativi sulla giustizia e sulla moralità delle decisioni delle autorità competenti, che sembrerebbero non adottare sempre le stesse misure di giudizio anche in altri casi limite conclamati, dove i minori subiscono le conseguenze delle scelte dei propri genitori o tutori.
La Famiglia Birmingham-Trevallion e il contesto
I due genitori, Catherine e Nathan, in nome della propria visione della vita, hanno scelto di vivere in modo radicalmente diverso rispetto alla maggioranza delle Famiglie che vivono nella nostra società. Nel bosco, lontano dalla città, hanno costruito una casa ecologica, dove i figli crescono lontano dalle logiche consumistiche e dalle convenzioni sociali moderne. Per loro, vivere a contatto con la natura rappresenta una scelta educativa fondamentale: i bambini imparano a rispettare l'ambiente, a essere indipendenti e a sviluppare una mentalità libera dalle influenze esterne.
Tuttavia, la loro scelta di vita ha attirato l’attenzione delle autorità sociali e, infine, la decisione di intervenire per allontanare i figli dalla famiglia. Il motivo ufficiale, come dichiarato dai servizi sociali, sarebbe stato il “rischio per la sicurezza e il benessere” dei bambini, legato a condizioni di vita ritenute inappropriate, nonostante la presenza di un’educazione che, da un punto di vista emotivo ed etico, appariva solida. Secondo le istituzioni, vivere in una casa isolata nel bosco, senza accesso immediato a infrastrutture sanitarie e educative, metterebbe a rischio lo sviluppo psicofisico dei minori.
Le ragioni dell'intervento dei servizi sociali
In Italia, i servizi sociali possono decidere di allontanare i minori dalle famiglie per ragioni di "abuso o negligenza" o quando vi siano condizioni che minacciano direttamente la sicurezza e il benessere dei bambini. Queste ragioni si articolano principalmente in:
1. Trascuratezza fisica e psicologica: La mancanza di cure adeguate, di un’alimentazione corretta, di un ambiente sicuro e protetto.
2. Condizioni di vita inadeguate: L’impossibilità di garantire ai minori una vita sociale e scolastica, l’assenza di un contesto adatto alla crescita sana, l'isolamento da altre figure sociali ed educative.
3. Possibili situazioni di abuso: Che si tratti di abuso fisico, psicologico o emotivo, in situazioni di questo tipo i servizi sociali sono obbligati a intervenire per proteggere il minore.
Nel caso della famiglia Birmingham-Trevallion, la motivazione principale avanzata dai servizi sociali (clicca qui) riguardava la “mancanza di una rete di supporto sociale” e la difficoltà di monitorare il benessere psicofisico dei bambini, lontani dalla città e senza una frequente interazione con scuole, medici e altre istituzioni che possono garantire la crescita sana.
Le dimissioni del legale della famiglia
Un altro aspetto doloroso di questa vicenda è stato il fatto che il legale che difendeva la famiglia, dopo aver preso in mano il caso, ha rassegnato le dimissioni. La motivazione, pubblicata in un comunicato stampa, è stata che le pressioni istituzionali e l’impossibilità di ottenere una revisione della decisione di allontanamento della prole avevano reso insostenibile proseguire con la difesa legale. La sua dichiarazione ha fatto emergere il conflitto tra la visione delle istituzioni, che agiscono in base a criteri di "sicurezza" e "protezione", e il diritto della famiglia a una vita autonoma e lontana dai canoni tradizionali.
Questo atto simbolico ha sollevato numerosi interrogativi sulla legalità e sull'etica delle decisioni prese dai servizi sociali, mettendo in discussione la legittimità di un sistema che sembra giudicare sulla base di una "norma" che non tiene conto della pluralità delle esperienze di vita e della diversità dei modelli educativi.
La voce degli esperti: psicologi, pedagogisti e operatori sociali
Psicologi, pedagogisti e operatori dei servizi sociali hanno espresso opinioni divergenti sulla vicenda. Per alcuni, l'intervento è stato un atto dovuto, necessario per proteggere il benessere psicologico dei bambini, che, pur vivendo in un ambiente naturale, potrebbero soffrire di un isolamento che limita lo sviluppo di competenze sociali e di relazioni interpersonali. Il rischio di "traumi da solitudine" e di "carenze educative" è stato messo in evidenza, soprattutto per la mancanza di una "rete di protezione" che una vita in una comunità più strutturata potrebbe garantire.
D'altra parte, altri esperti hanno sottolineato come l’intervento sia stato una violazione della libertà della famiglia, che ha il diritto di educare i propri figli secondo i propri valori. Secondo questa prospettiva, il concetto di "norma" educativa e sociale è troppo rigido e non tiene conto delle scelte individuali. "I genitori dei tre bambini andavano coinvolti, proprio in virtù della relazione potente con i figli - afferma lo psicologo e psicoterapeuta Matteo Lancini, che aggiunge - Sono loro la parte più importate del processo terapeutico. Non si aiutano i minori allontanandoli ma ragionando con mamma e papà, a meno che non ci siano abusi e violenze. Anche perché non li puoi tenere lontani per tutta la vita, prima o poi i figli vanno restituiti" - ha concluso Lancini.
Altri esperti, più cauti, hanno sottolineato che l’allontanamento dei bambini, seppur doloroso, potrebbe rappresentare un passo necessario per garantire la loro sicurezza, ma ciò non significa che non si debba affrontare una riflessione seria su come le istituzioni possano tutelare anche le scelte alternative di vita senza penalizzare i diritti dei genitori.
Il giudizio delle istituzioni è davvero giusto per tutti?
La vicenda della famiglia Birmingham-Trevallion mette in luce la difficoltà di conciliare le scelte individuali di vita con le normative di tutela del minore. Il rischio, come sottolineano diversi osservatori, è che il concetto di “giustizia” diventi troppo uniforme, incapace di riconoscere e rispettare la varietà di esperienze familiari e di stili educativi. Se da un lato è fondamentale che i servizi sociali intervengano quando la sicurezza e il benessere dei bambini sono minacciati, dall'altro non possiamo dimenticare che ogni famiglia ha il diritto di scegliere il proprio modello educativo, a condizione che non metta a rischio il benessere dei figli.
Questa vicenda, dunque, ci invita a riflettere su come la “giustizia” si muove in un contesto così complesso, in cui ogni decisione ha conseguenze profonde sulla vita delle persone. E ci ricorda che, a volte, il metro di giudizio delle istituzioni potrebbe non essere adatto a tutti, se non si tiene conto della pluralità delle vite e delle scelte che compongono la nostra società.
Riflessioni e quesiti finali
Dopo aver descritto, seppur sommariamente, le ragioni delle scelte determinate, da una parte dai due genitori Catherine Birmingham e Nathan Trevallion di educare i propri figli lontano dalle logiche consumistiche a fronte di una vita condotta a contatto con la natura; e dall'altra, quelle determinate da principi giuridici in fatto di tutela dei minori; rimane ora un'ulteriore riflessione da fare.
In Italia, esistono una miriade di situazioni familiari al limite che non vengono "aggredite" (usiamo il termine aggressione per indicare la ferma decisione delle istituzioni ad intervenire per mettere in sicurezza i minori, laddove si presentano condizioni specifiche) con la stessa intensità e decisione che sono state adottate dalle stesse istituzioni nei confronti dei figli di Catherine e Nathan.
Giornali, Tv, Radio, ma anche semplici cittadini, influencer, blogger e freelancer nel campo dell'informazione, documentano da anni:
stati familiari al limite della decenza, dove i minori vengono abbandonati a loro stessi, sfruttati e messi nella condizione di delinquere, per logiche criminali dei propri genitori;
minori che non seguono un'adeguata istruzione (sia in presenza fisica a scuola, sia da remoto da casa) secondo i principi di legge dell'obbligo scolastico e formativo;
minori che vivono in ambienti e contesti inadeguati: in campi nomadi o in campi destinati dai comuni a famiglie senza abitazione, oppure in stabili (appartamenti) assegnati a famiglie meno abbienti, dove l'igiene e la sicurezza lasciano più che a desiderare.
insomma, il quadro in Italia riguardo la vera tutela dei minori, appare un po' opaco e presenta delle incongruenze con quanto stanno subendo i figli di Catherine Birmingham e Natham Trevallion e quanto vivono altri minori in ragione di altre famiglie che non hanno deciso di vivere ne bosco, ma in strutture legali messe a disposizione delle istituzioni preposte e che, nonostante tutto, non osservano una corretta tutela dei loro figli, in ragione della loro sicurezza, dell'igiene, dell'educazione sociale e scolastica, dell'etica e della morale.
E al di la' delle ragioni che le istituzioni stesse possono produrre per giustificare l'azione mossa nei confronti della Famiglia nel bosco, ciò non può eliminare il forte dubbio che si fa largo in molti cittadini, ovvero:
Esiste un metro e due misure o due pesi e due misure, per giudicare ed intervenire sui casi limite dove i minori sono i protagonisti passivamente in negativo?
Esiste una giustizia (forse) non giusta per tutti?
L'ultima riflessione, a chiusura di questo articolo, vuole essere posta con degli ulteriori punti di domanda e, al di là del fatto che alcune situazioni dovranno essere, come stabilito dalle leggi, migliorate ed integrate negli spazi interni ed esterni residenziali della Famiglia Birmingham-Trevallion, su tutte la cura dell'igiene e della sicurezza dei minori, non è per caso che la decisione dei Catherine e Nathan di far crescere e vivere i propri figli lontano dalla contaminazione continua di un sistema altamente tecnologico e condizionante; da una rete urbana contaminata da rifiuti di ogni genere e dall'assenza di una sicurezza adeguata dei cittadini che rischiano ogni giorno la propria incolumità per mano di criminali senza scrupoli e che il più delle volte, laddove acciuffati dalle forze dell'ordine, pagano pene irrisorie; così come per tante altre ragioni che li hanno fatti desistere dal vivere in quella che dovrebbe essere una società civile; possa essere vista da molti come modello di vita cui potersi ispirare per salvaguardare se stessi e i propri cari da un sistema contaminante sotto ogni profilo sociale?
La scelta dei due coniugi di far vivere la propria famiglia, quindi i propri figli, lontano da tutto ciò che può essere visto dagli stessi come contaminazione di corpo e mente, è secondo Catherine e Nathan, la scelta più ovvia per creare in loro un diretto contatto con la natura, per insegnargli a rispettarla, per insegnargli a crescere indipendenti e a sviluppare una mentalità libera dalle influenze esterne.
E seguendo il pensiero dei due coniugi Birmingham-Trevallion, non è per caso che tale modalità di educazione possa dare fastidio ad un sistema che ci vuole tutti omologhi, allineati ad un unico pensiero (si veda la gestione del periodo pandemico del Covid), sapendo che quei ragazzi crescerebbero con una visione del mondo e della società, probabilmente, molto più libera da qualsivoglia tipologia di condizionamento?
Ad ognuno le proprie riflessioni e risposte.








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